Tragedia a…

Tragedie che con insistenza mostrano padri e madri, sposi, fratelli e figli uniti da vincoli feroci. Edipo dei Labdacidi, figlio di Laio e padre di Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice, consegnato per sempre al proprio destino da una terribile genealogia fatta di crimini portati fino all’estremo. A Zeus il regno dei cieli, a suo fratello Ade, dio dei morti, il regno sotterraneo. Tutti gli uomini finiscono all’Ade e diventano ombre che appaiono e scompaiono.
Le creature eterne ritornano. Anche gli indovini/profeti godono di privilegi in quel luogo, come Tiresia che chiede al dio Ade di aprire la porta e dice “e presto torneremo”. Si consultano oracoli e s’insinuano vaticini; per conoscere il proprio destino gli uomini interrogano gli indovini/profeti, spesso non creduti e minacciati, e la tragedia ha nuovamente inizio. “La tragedia é un inganno in cui é più saggio chi si lascia ingannare” – i suoi miti sono carichi di orrori e di condanne e ogni poeta li veste con significati diversi per suscitare negli uomini emozioni essenziali.
Gli Dèi possono rendere stolto l’uomo più saggio fino ad annebbiargli la mente e dare saggezza all’uomo insensato. Leggi divine e leggi umane si intrecciano: gli Dèi si fanno arbitri dell’umano agire e gli Eroi rivendicano la propria libertà affrontando un destino di sconfitta e di morte come premio della loro grandezza. E un progetto che nasce partendo dal lavoro svolto con Tragedia a mmare, (di cui alleghiamo una selezione di rassegna stampa), spettacolo itinerante che ha visto il suo debutto al Festival di Santarcangelo nel 1999, la sua presenza, immediatamente dopo, ad Ostia nel 1999 e poi nel 2000 per volontà di Mario Martone. mmare

Tragedia a… nasce come progetto per abitare lo spazio extra – teatro, attingendo immagini e temi dalla tragedia della famiglia dei Labdacidi, già oggetto di indagine in Tragedia a mmare, solo che questa volta voglio trasferire l’azione drammaturgica nella dimensione urbana, ambientando le traversie famigliari in una architettura industriale, in cui possibili capannoni, fabbriche dismesse, vecchie stazioni metropolitane, diventano l’ambiente reale dei nostri drammi quotidiani. C’è quasi l’urgenza di creare, in uno spazio itinerante e metropolitano, una vicenda che parte dagli antichi e i loro miti ma con uno sguardo all’oggi in cui la dimensione umana della tragedia possa in qualche modo appartenere alla contemporaneità. L’idea è di far tornare i Labdacidi in un capannone, in un luogo diroccato, non teatrale, con macchine, motociclette, carrelli in una zona abbandonata industriale.


Tragedia a Gibellina

tragedia a gibellina

ideazione e regia: Alfonso Santagata
con: Chiara Di Stefano, Johnny Lodi, Sergio Licatalosi, Mariano Nieddu, Daria Panettieri, Francesco Pennacchia, Alfonso Santagata, Roberto Serpi
e con: otto attori provenienti dal laboratorio condotto da Alfonso Santagata a Gibellina
narratori: Antonio Alveario, Vincenzo Vetrano
assistente alla regia: Chiara Senesi
responsabile tecnico: Tommaso Checcucci, Salvo Di Martina
amministrazione: Laura Bagnoli
organizzazione: Franco Coda, Rita Campinoti

A Gibellina la tragedia ha già avuto luogo. Nel tempo di una notte si è compiuto un destino senza ritorno, che ha coinvolto uomini e cose. Tutto già avvenuto, eppure tutto ancora da attraversare: la tragedia ancora tutta da affrontare e da vivere, per il tempo necessario. Come nel teatro greco. Destini già decisi, scritti nel mito e consegnati a personaggi che se ne faranno carico fino in fondo, non potendo evitare nessun dolore, per quanto scritto negli auspici e anticipato dagli indovini.
Saranno i ruderi di Gibellina a evocare i percorsi della tragedia dei Labdacidi.
Il cretto di Gibellina scolpisce la vastità di una distruzione che è stata opera della potenza cieca e terribile della natura. Lì rivivranno le vicende della stirpe di Laio, attraverso le quali il teatro continua a raccontare di una potenza che sa farsi ancora più terribile, quella dell’uomo che – come canta il coro degli anziani di Tebe – asservisce la natura, solca i mari e doma gli animali, ma ancor più temibile può essere volgendo al male il proprio ingegno e dispensando morte e sottomissione.

Il tempo della rappresentazione salda il passato al presente, rileggendo le immagini e le vicende del mito alla luce della sensibilità contemporanea. Guerre e distruzioni, asservimenti e deportazioni, ragioni di Stato e responsabilità individuali sono temi che trovano nella tragedia greca icone straordinariamente simboliche e continuamente attuali. Una sorta di pertinenza feroce, che continua a farci tornare su queste trame ancestrali, di tempo in tempo, di spettacolo in spettacolo. Così questa Tragedia a Gibellina sarà un nuovo, originale sviluppo di un’indagine sui cicli tragici iniziata con Tragedia a mmare e proseguita con Eidos.
C’è quasi l’urgenza di creare, in uno spazio itinerante e unico, una vicenda che parte dagli antichi e dai loro miti per far emergere ciò che di eccessivo e inesorabile sembra in qualche modo appartenere alla contemporaneità: sentimenti e passioni, vincoli di sangue e conflitti per nuove egemonie.
L’idea è di far tornare i Labdacidi in un luogo diroccato, non teatrale, con macchine, motociclette, carrelli in una zona abbandonata dalla vita, ma solcata da sentimenti non pacificati.

Tragedie che con insistenza mostrano padri e madri, sposi, fratelli e figli uniti da vincoli feroci.
Edipo figlio di Laio e padre di Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice, consegnato per sempre al proprio destino da una terribile genealogia fatta di crimini portati all’estremo. A Zeus il regno dei cieli, a suo fratello Ade, dio dei morti, il regno sotterraneo. Tutti gli uomini finiscono all’Ade e diventano ombre che appaiono e scompaiono.
Le creature eterne ritornano.Si consultano oracoli e si interpretano vaticini; per conoscere il proprio destino gli uomini interrogano gli indovini, in molti casi disattendendone le profezie e maledicendoli. E la tragedia ha nuovamente inizio.
“La tragedia è un inganno in cui è più saggio chi si lascia ingannare”. Gli dei si fanno arbitri dell’umano agire e gli eroi rivendicano la propria libertà di fronte a un destino già segnato: libertà di seguire le proprie ragioni e i propri sentimenti, fino all’eccesso, fino al peccato fatale nei confronti della divinità.

Ma, in fondo, cos’altro è l’hybris, l’irresistibile delitto di tracotanza, se non l’altrettanto implacabile tensione dell’uomo a coltivare una personale utopia? Al di fuori dei lacci divini e delle condanne ataviche – frutto del tanto male che altri uomini hanno disseminato nel corso della storia – l’eroe tragico traccia, nel solco della vicenda che gli è assegnata, il progetto di una vita rispondente a leggi scelte e a una superiore armonia fra sé e il mondo.
Anche a questo invita a riflettere lo scenario tragico di Gibellina, che ritrova un’armonia fra uomo e natura attraverso un paesaggio artistico di spaventosa, non riconciliata bellezza.


Tragedia a…. ha replicato a:
Tragedia a Gibellina nel 2002
Tragedia alle mura nel 2007 al Festival di Teatri delle Mura a Padova
Tragos Canto alle Crete nel 2007 a Asciano (SI)
Tragedia a Bologna negli stabilimento Ex-Staveco nel 2007 al Festival dei Superluoghi
Tragedia a Mantova al Palazzo Ducale nel 2008 al Festival Europeo del Teatro di Scena e Urbano
Tragedia a  Torre Luciana nel 2009
Tragedia a Ansedonia nel Parco Archeologico nel 2009
Tragedia a Chieti nel 2010
Traghedia a Populonia nel parco Nazionale nel 2010
Tragedia a Sovana nel 2010
Degli dei degli eroi al Teatro delle Rocce a Gavorrano nel 2010


Stralci di recensioni

“Si sa. Santagata procede per sventramenti e sondaggi in profondità, proprio come se la scrittura scenica fosse una ruvida superficie, simile a quella che noi calpestiamo seguendolo nel percorso a stazioni da lui stabilito…in cima all’immenso cretto realizzato da Burri sulle rovine del paese.”

Antonio Audino – Il Sole-24 Ore – 25 agosto 2002

“Il relitto di un mito che è annegato nel tempo ma riaffiora ogni volta che torna la bassa marea, qui, in ciò che resta della Gibellina sventrata dal terremoto, la favola tebana è per Santagata una tragedia di terra, di pietre divelte trent’anni fa e mai più smosse…disegna l’ultima immagine di figurine che si allontanano, mano nella mano, tra Chaplin e Pasolini, per raccontare un’altra volta ancora, in qualche altra terra o altro mare, in un’altra notte, questa storia infinita nata all’alba della civiltà d’Occidente.”

Roberto Canziani – www.tuttoteatro.com – anno III n.31 – 2 settembre 2002

“Ma ridurre Tragedia a Gibellina a una suggestiva capacità di animare lo spazio, sarebbe ingiusto: il vero segno di questo teatro postumo è l’attenzione alla vittima che dal meccanismo tragico è schiacciata, espulsa. La ripetizione tragica è sempre possibile perché qualcosa continua a fuoriuscire dalla sua logica…”

Attilio Scarpellini – Diario – anno VII n.37 20-26 settembre 2002

“Alfonso Santagata con gli attori della compagnia Katzenmacher e i giovani che hanno partecipato in questi giorni al laboratorio che si è tenuto in città, collocherà in una dimensione urbana l’antica tragedia di Edipo. Che viene assunta a simbolo dei vincoli feroci che sovente caratterizzano i rapporti familiari, che mostrano padri e madri, sposi, fratelli e figli uniti da rapporti spesso violenti.”

Il mattino di Padova – 9 giugno 2007

“Per una sola notte la Sataveco viene aperta al pubblico…nel capannone l’odore del ferro è talmente forte da evocare immediatamente scenari di guerra e di violenza…Edipo appartiene a tutti, induce a interrogarci sui sentimenti umani, rappresenta un’atualità che supera pure l’attuale.”

Anna Tonelli – la Repubblica – 30 ottobre 2007